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Recensione

90/100

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Hungryheart – Dirty Italian Job – recensione

27 Giugno 2015 53 Commenti Denis Abello

genere: Melodic Rock
anno: 2015
etichetta: Tanzan Music

Tracklist:

01. There Is A Reason For Everything *
02. Back To The Real Life
03. Shoreline *
04. Nothing But You *
05. Devil's Got My Number *
06. Bad Love (Eric Clapton's cover) *
07. Second Hand Love *
08. Time For The Letting Go
09. Right Now
10. You Can Run (original version) *
11. Rock Steady
12. All Over Again *

* migliori canzoni

Formazione:

JOSH ZIGHETTI - voce e cori
MARIO PERCUDANI - chitarre, cori e voce principale nei pezzi #04 / #07
STEFANO SCOLA - basso
PAOLO BOTTESCHI - batteria e percussioni

Ospiti:

Paolo Apollo Negri - tastiere nei pezzi #02 / #07 / #10
Alessandro Del Vecchio - tastiere nei pezzi #01 / #04 / #06 / #08
Giulio Garghentini - cori sul pezzo #08

 

E’ uno “sporco lavoro (all’italiana)” ma qualcuno lo deve pur fare… chissà se gli Hungryheart, ormai storica formazione tutta italiana dedita al miglior hard rock melodico, abbia pensato questo prima di mettere penne, calamai e strumenti (e classe e talento) al servizio ancora una volta della musica, quella buona che noi amiamo tanto!
Sia quel che sia il fatto è che un bel grazie a Josh Zighetti (voce), Mario Percudani (chitarra e voce), Stefano “Skool” Scola (basso e nuovo membro della band) e Paolo Botteschi (batteria) da parte nostra non glielo leva proprio nessuno.
La band di Lodi che come al solito poggia sul sodalizio nato parecchi anni fa tra Mario e Josh arriva così al terzo album in carriera (Hungryheart – 2008 e One Ticket To Paradise, qui la recensione – 2010) che segue a distanza di ben 5 anni la loro ultima release ufficiale.
Tempo speso bene dalla band che ha visto negli anni passati dalla pubblicazione dell’ultimo lavoro in studio un susseguirsi di collaborazioni importanti con artisti del calibro di House of Lords, Mitch Malloy, Bobby Kymball, Vinny Appice, Issa, Kelly Keeling e molti altri, un affiatamento sempre maggiore tra i tre pilastri rimasti a sorreggere la band dal tempo di One Ticket To Paradise (Mario, Josh e Paolo) a cui si è aggiunto il quarto perfetto elemento Stefano e lasciatemelo dire, la consacrazione, sempre più forte anche a livello internazionale, di uno dei migliori chitarristi che ci siano al momento per il genere, Mario Percudani, dotato di un tocco emozionante ed unico, di una perfetta sintonia con la chitarra, e di uno stile “italiano” che lo rende inimitabile!
Aggiungiamo in ultimo alcuni ospiti sull’album come Paolo Apollo Negri e Alessandro Del Vecchio che si alternano alle tastiere e un apporto della bella voce di Giulio Garghentini sui cori di Time For Letting Go ed ecco che gli elementi per un grande album sono tutti li pronti per essere ben miscelati…

… ma a cosa servirebbero grandi artisti se non fossero messi al cospetto di grandi canzoni? La risposta è scontata e da questo punto di vista gli Hungryheart non deludono confermandosi degli ottimi compositori con anche in questo caso dalla loro uno stile molto personale che gli rende facilmente distinguibili in un genere in cui distinguersi non è facile!
Si parte così con il rocckeggiante rock di There Is A Reason For Everything. La voce di Josh non ha perso smalto ma anzi ha guadagnato in colore e calore, la chitarra di Mario disegna giri di note incisive e vibranti che arrivano sempre chiare e distinte. Ci siamo signori, gli Hungryheart sono saliti nuovamente sul palco del grande hard rock melodico.
Riff graffiante unito alla classe della sezione ritmica della band (Paolo Botteschi si conferma un batterista di estrema eleganza, altro tratto distintivo della band, e Stefano Scola è una piacevole scoperta) per Back To The Real Life. I tratti caratteristici di un melodic hard rock di chiara fattura Americana sono tutti in pezzi come questo ma il grande valore aggiunto che la band sa dare si chiama “personalità“!
Entriamo in quello che è il lato che più adoro di questo lavoro dando il benvenuto al primo video e singolo estratto dall’album, Shoreline. Bellissimo pezzo che mostra il lato più melodico e ricercato della band… eleganza, stile ed una cura per la composizione del pezzo ne fanno un Highlight di questo lavoro!
Si scende sempre più nell’intimo e Nothing But You riporta a galla quel tocco blues che è insito nel DNA artistico di Percudani, da applausi nel riuscito ed emozionante solo. Tra l’altro primo pezzo in cui possiamo riapprezzare la voce di Mario in supporto a quella di Josh.
Dopo una ballata come questa è giusto tornare a lasciarsi travolgere dall’hard rock sanguigno di un pezzo come Devil’s Got My Number. Lo “stacco” vocale verso il primo minuto del pezzo è un colpo da maestro!
Metà corsa e prima e unica cover dell’album. La scelta può sembrare anomala visto che si parla di Bad Love di Eric Clapton, e ancora una volta l’animo blues sembra prendere possesso, invece il pezzo viene trasformato da intimo e soffuso in una cavalcata hard rock di estrema bellezza giocata su un ritmo nettamente sostenuto ed una chitarra graffiante ed incisiva! Ci pensa però Second Hand Love a mettere a nudo il tratto intimista della band. Inizio acustico, percussioni accennate per un pezzo che avrebbe potuto trovare posto nella tracklist di Blaze of Glory di Jon Bon Jovi. Abbiamo superato i 2/3 dell’album e lasciamo che Time For The Letting Go, su cui nei cori si può apprezzare l’apporto di Giulio Garghentini (qui la recensione del suo “Believe” ), e l’incedere scanzonato di Right Now ci portino tra le braccia della bella versione elettrica di You Can Run (pezzo già contenuto in versione acustica nell’album solista New Day di Percudani – qui la recensione).
Storia, passione, classe, stile e talento della band si ritrovano nella bellezza di questo pezzo giocato fra tocchi di chitarra e basso di sottofondo a cui Josh Zighetti dona anima e dimenzione fisica con una delle sue più belle interpretazioni vocali. Uno dei migliori pezzi proposti in questo lotto!
Si chiude tra gli applausi sulle note accese di Rock Steady e sull’ispirazione Danger Danger di All Over Again che gioca le sue carte migliori su cori e ritornelli di facile presa!

IN CONCLUSIONE

Se già One Ticket To Paradise lasciava stupiti per la qualità che portava in se, questo Dirty Italian Job, terzo lavoro della band, consacra la band come una delle più interessanti realtà a livello internazionale.
Dotato di un sound unico portato in scena da una band che oserei definire “elegante“, Dirty italian Job porta sul palco 12 pezzi di puro e cristallino melodic hard rock che pianta le sue radici nel fertile terreno che fu linfa vitale per gli storici gruppi Americani del genere.
Il disco non nasconde le sue ispirazioni d’oltreoceano, ma in più aggiunge quel gusto e quel sapore “mediterraneo” che gli Hungryheart ci hanno saputo far apprezzare negli anni e che assolutamente confermano e anzi amplificano con questa loro nuova incarnazione sincera, personale e di gran classe. La maturità raggiunta dalla band conferma quanto di buono i suoi componenti siano riusciti a fare in questi ultimi 5 anni, con un Percudani che per si conferma chitarrista di Talento veramente eccezionale.
Album della maturità e consacrazione di una bella realtà tutta italiana per gli Hungryheart e assolutamente imperdibile “must have” per gli amanti del genere.

© 2015 – 2018, Denis Abello. All rights reserved.

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