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Recensione

86/100

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Journey – Eclipse – Recensione

22 Giugno 2011 8 Commenti Andrea Vizzari

genere: AOR
anno: 2011
etichetta: Frontiers Music

Tracklist:

01. City Of Hope
02. Edge Of The Moment
03. Chain Of Love *
04. Tantra *
05. Anything Is Possible *
06. Resonate *
07. She's A Mystery
08. Human Feel *
09. Ritual
10. To Whom It May Concern *
11. Someone *
12. Venus

* Migliori Canzoni

Formazione:

Arnel Pineda: Voce
Neal Schon: Chitarra solista e Cori
Jonathan Cain: Tastiere, chitarra ritmica e Cori
Ross Valory: Basso e Cori
Deen Castronovo: Batteria, Percussioni e Cori

 

A 3 anni di distanza dal precedente Revelation i Journey si apprestano a inaugurare questo 2011 con Eclipse, nuovo album che ci mostra innanzitutto una band in stato di grazia compositiva nonostante alla fine il risultato non sia proprio quello aspettato. Prodotto da Kevin Shirley (reduce da un deludente lavoro con i Mr.Big) la formazione di questo Eclipse è sempre la stessa e vede Neal Schon alle chitarre (il plurale questa volta è d’obbligo), Jonathan Cain alle tastiere, Ross Valory al basso, Deen Castronovo alla batteria e Arnel Pineda al microfono, ormai perfettamente integrato nella band. Forte di un affinità sempre maggiore col resto del gruppo, il filippino risulta alla fine essere la punta di diamante di questo Eclipse, album a tratti oscuro e pieno di mille sfaccettature quasi anomale per il solito stile Journey. Ebbene si, proprio oscuro, credo che sia l’aggettivo più indicato per descrivere quanto creato da Schon & Cain, che per questo disco hanno pensato bene di abbandonare in linea generale le melodie ariose e gioiose tipiche della loro musica per far spazio ad un enorme lavoro di chitarre, mai così dirette, aggressive e potenti senza quei ritornelli commerciali da stadio. Se da un lato al primo ascolto questo potrà sorprendere e non poco i vecchi fan della band, dall’altro riesce sicuramente a valorizzare meglio il concept sulla vita e sull’esistenza che fa da sfondo a questo disco con canzoni che spesso superano i 6 minuti di durata. A tutti i fan del Neal Schon di “Late Nite” o “Beyond the Horizon”: l’ascolto di Eclipse potrebbe causarvi seri danni in quanto mai come in questo album il chitarrista losangelino sfodera riff serrati e assoli al fulmicotone, aiutato molto spesso da Jonathan Cain sempre più presente come chitarrista ritmico piuttosto che come pianista/tastierista. Ascoltatori avvisati…

Riuscirà l’eclisse a superare la rivelazione? Scopriamolo insieme…

LE CANZONI

Sound corposo con il basso in primo piano di Ross Valory ed ecco il prologo di Eclipse: City Of Hope, incipit e primo singolo scelto per il mercato europeo. Pineda prende subito in mano le redini della barca Journey con una classe ormai da veterano esplodendo in un ritornello melodico come pochi altri in questo album, prima di congedarsi passando il testimone a Neal Schon che nell’outro della canzone si sbizzarisce con la sua chitarra aiutato dal resto della band. Edge Of The Moment parte subito con un riff in primo piano denso di atmosfera cupa e sinistra che si ripercuoterà per tutte le strofe colme di echi e chitarre distorte con un Arnel sinuoso perfettamente calato nel contesto “particolare” della canzone e un Neal ancora una volta furioso con i suoi assoli e le sue molteplici linee di chitarra. Se dopo queste due canzoni vi stavate chiedendo dove sia quel Jonathan Cain col suo magico tocco beh la risposta arriva esattamente alla traccia numero tre, Chain Of Love. Un intro surreale e magica in cui il tastierista fa da accompagnamento alla solitaria voce di Arnel a tratti sofferente per poco più di un minuto prima del ritorno delle chitarre di Schon e del vero inizio della canzone. Un ritornello abbastanza convincente per una delle canzoni più riuscite di tutto Eclipse grazie all’ormai solita prestazione di Arnel. Ancora il pianoforte di Cain ci culla attraverso la successiva Tantra, una sorta di ballad meno oscura della precedente traccia: sono lontani i ricordi di Open Arms o Faithfully ma finalmente i Journey stanno tornando. Linee melodiche perfette e a tratti epiche, chitarre non pesanti e invadenti ma melodiche e al posto giusto, tastiere abbastanza presenti, una solida sezione ritmica e una voce incredibile (ascoltare intorno al terzo minuto per capire). Anything Is Possible, ancor più della precedente traccia ci riporta in toto alle sonorità tipiche della band: una midtempo spensierata senza grosse pretese con il compito di intrattenere l’ascoltatore con le sue fresche melodie fin dalle prime note arrivando al ritornello semplice ed efficace. Ottimo il guitar work di Neal Schon, più “genuino” con questo tipo di suoni piuttosto che nelle hard rock songs dove appare invece quasi forzato. Dopo questa piccola parentesi, il disco prosegue e ritorna alle sonorità ricercate e cupe con Resonate. Drumming roccioso di Castronovo, basso pulsante di Valory e arpeggi chiaroscuri di Schon fanno da sfondo alla voce tinta di teatralità di Pineda che attende un riuscitissimo ritornello per esplodere in tutta la sua espressività. Tutto intorno si anima, il lavoro di chitarra si fa più preciso e corposo e l’atmosfera delle strofe quasi incute timore scuotendo l’ascoltatore. Se dovessi scegliere la canzone che più rappresenta questa nuova direzione stilistica presa dalla band con Eclipse, non posso che scegliere Resonate. She’s A Mystery però distrugge di colpo quanto costruito dalla traccia che la precede: un’ altra canzone completamente anomala, elettro-acustica con tanto di flavour da brezza losangelina per più di quattro minuti prima di ricevere la scossa di un riff che non esagererei a definire metal che trasforma quella che era una canzone pop-rock in un tripudio strumentale di metallo pesante con il vecchio Schon nel ruolo di attore principale. Il corpo comincia a scuotersi quando parte Human Feel: Castronovo parte e continuerà con dei ritmi tribali seguito prevedibile dal riff di Schon ma quando si riuscirà a capire la potenza che questa canzone sprigiona è ormai troppo tardi per frenare la voglia di scatenarsi. Primo singolo per il mercato americano, Human Feel mostra tutta la potenza dei Journey versione 2011 con ogni membro della band che si esprime al proprio massimo con nota di merito all’esplosivo Pineda e ai distruttori Schon e Castronovo. Ritual è una canzone che non brilla certo per songwriting risultando una uptempo sufficiente con un buon ritornello e un’altra ottima performance da parte del cantante filippino. La successiva To Whom It May Concern inizia quasi in sordina per poi man mano crescere di intensità fino a trovare il suo culmine in un ritornello molto epico e trascinante con un Pineda finalmente supportato da ottimi cori. Tenete a mente la melodia di base perchè verrà poi ripresa nella conclusiva Venus. Segue Someone, un altro gradito ritorno alle sonorità tipicamente AOR anni ’80 con tastiere molto presenti, un riuscitissimo ritornello trascinante e molto easy listening fino agli ormai soliti vocalizzi di perryana memoria di Arnel Pineda. Epilogo affidato a Venus che, come già successo nel precedente Revelation con la canzone The Journey (Revelation), si rivela essere una traccia interamente strumentale. Sviluppata sulla melodia di To Whom It May Concern, Venus risulta un po’ fiacca nella sua costruzione musicale, offrendo per la maggior parte gli sfoghi chitarristici di Neal Schon e le sfuriate di Deen Castronovo senza qualche spunto interessante. Inutile.

IN CONCLUSIONE

Una vera sorpresa questo Eclipse, non c’è che dire. Dopo l’ottimo Revelation era difficile prevedere cosa avrebbero tirato fuori dal cilindro i Journey: andare sul sicuro con un album tipicamente aor con le solite peculiarità che hanno sempre contraddistinto il gruppo losangelino oppure tentare qualcosa di nuovo sperando di raggiungere comunque un ottimo risultato? Alla fine dell’ascolto di Eclipse credo che la verità stia in mezzo: il disco non è certo il più classico della loro discografia, complice quel sound oscuro e potente di alcune canzoni mischiato a certe atmosfere quasi mistiche che risultano essere le novità proposte dal gruppo. Al tempo stesso però vi sono un paio di episodi più marcatamente “Journey”, con sonorità più “solari” dense di melodia che spezzano col contesto generale dell’album. Mentre il precedente Revelation risultava un album molto omogeneo, Eclipse pecca proprio in questo frangente risultando un album difficile da metabolizzare. L’intera band comunque sfodera una grandissima prestazione con un lavoro musicale egregio anche se a dir la verità Jonathan Cain risulta essere il musicista meno presente su questo disco, mai così in seconda fila con pochi momenti per brillare con le sue tastiere e il suo pianoforte, troppo spesso assenti o poco incisivi, per dedicarsi più alla chitarra ritmica. Veri protagonisti di quest’opera però risultano essere Arnel Pineda e Neal Schon. Il cantante filippino, toltosi ormai dalle spalle l’ennesima etichetta di “sosia Perry” dimostra una maturità e una crescita vocale non indifferente, senza mai limitarsi o dare segni di alcun cedimento. Passa facilmente dal cantato melodico trascinante a quello aggressivo e potente, toccando note piuttosto alte. Promosso a pieni voti. Riguardo il mastermind e chitarrista invece c’è da dire che la sua chitarra non aveva mai ruggito così forte: riffs a manetta veloci e graffianti, multi linee di chitarra, assoli elettrizzanti (a volte più di uno in una stessa canzone). Tutto sembra esagerato, a volte quasi eccessivo se si pensa al nome del gruppo in copertina e al nome del chitarrista in questione, per cui probabilmente i fan più storici e intransigenti non gradiranno molto. Un album “particolare” quindi questo Eclipse che oltre l’enorme prestazione dei singoli musicisti ha dalla sua un songwriting di alto livello e una produzione molto buona (il nome di Shirley preoccupava e non poco). Consiglio comunque di ascoltare l’album molte volte, in quanto mostrerà le sue carte vincenti man mano che gli ascolti aumenteranno, al contrario di molti dischi che dopo un paio di ascolti hanno già stufato, pronti per esser riposti su di uno scaffale.

© 2011 – 2018, Andrea Vizzari. All rights reserved.

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