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Recensione

90/100

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Whitesnake – Forevermore – Recensione

10 Aprile 2011 23 Commenti Andrea Vizzari

genere: Hard Rock
anno: 2011
etichetta: Frontiers

Tracklist:

01. Steal Your Heart Away
02. All Out Of Luck
03. Love Will Set You Free
04. Easier Said Than Done
05. Tell Me How
06. I Need You (Shine A Light)
07. One Of These Days
08. Love And Treat Me Right
09. Dogs In The Street
10. Fare Thee Well
11. Whipping Boy Blues
12. My Evil Ways
13. Forevermore

Formazione:

David Coverdale - Voce
Doug Aldrich - Chitarra Solista, Cori
Reb Beach - Chitarra Ritmica, Cori
Michael Devin - Basso, Cori
Briian Tichy - Batteria

 

Cosa si aspetta un ipotetico fan di una band dalla carriera pluri trentennale, che ha sfornato in questa sua lunga carriera alcuni capolavori di un genere ben preciso (in questo caso l’hard ‘n heavy) diventantandone quasi la stella più brillante, quando la suddetta band in questione decide di pubblicare un nuovo album di inediti? Che aspettative può avere lo stesso fan da una band che, nello specifico, nel corso di trent’anni non ha mai avuto una formazione stabile che durasse più di 5 anni e che ha combattutto il tempo e il music business solo grazie all’unico punto fermo che possiede cioè un leader carismatico, un’icona della musica rock, un ottimo songwriter e un eccellente cantante? Queste sono le domande che probabilmente molti fan si saranno fatti nell’apprendere che nel 2008 i leggendari Whitesnake sarebbero tornati sulla scena musicale con un nuovo album, intitolato “Good To Be Bad” dopo ben 11 anni dal precedente “Restless Heart” (ma contando che quest’ultimo era intitolato David Coverdale/Whitesnake, sono ben 19 anni da “Slip Of The Tongue”, ultimo vero album Whitesnake). Eppure la band, forte di una solida line-up, riuscì a dar vita a uno splendido lavoro nel pieno stile della band; un hard ‘n heavy roccioso con quel tocco misurato di modernità che lo rese fresco, godibile e soprattutto degno del pesante nome che portava. Toccava a questo nuovo Forevermore, almeno per quanto riguarda il sottoscritto dimostrare se il buon vecchio Coverdale si sarebbe adagiato sugli allori sfornando album di mestiere, o se il caro singer inglese avrebbe, ancora una volta, fatto centro cercando di tirare sempre il meglio dai musicisti che chiama alla sua corte. Forevermore per fortuna, non solo rientra in questa ultima mia “considerazione” ma riesce ad andare oltre…Innanzitutto rispetto a Good To be Bad adesso vi è un ritorno più marcato all’hard ‘n heavy con chiare influenze blues come agli inizi di carriera ma, prima di addentrarmi nell’analisi del disco è doveroso puntualizzare il cambio di line-up avvenuto in seno alla band: David Coverdale ha praticamente cambiato tutta la sezione ritmica che adesso prevede Michael Devin (Lynch Mob) al basso e Briian Tichy (Derek Sherinian, Vinnie Moore…) alla batteria al posto rispettivamente di Uriah Duffy e Chris Frazier. Il gruppo con Forevermore si presenta inoltre senza un tastierista dopo l’abbandono di Timothy Drury che vuole concentrarsi alla carriera solista. Il gruppo di chitarre invece rimane lo stesso dall’anno del ritorno (2002) della band e include Reb Beach (Winger) e l’ex Dio Doug Aldrich, che sembra essere il nuovo “partner in crime” di David Coverdale nella composizione e produzione dei pezzi.

LE CANZONI

Subito ad apertura del disco un fulmine a ciel sereno, un turbine di chitarre e di rock ‘n roll che rispondono al nome di Steal Your Heart Away. Tutto azzeccato per entrare nel “mood” che permane in tutto il disco: grandissime tessiture di chitarre, rocciosa sezione ritmica, un ritorno ai lidi hard rock blues dei vecchi album quali Slide It In o Saints And Sinners e un chorus anthemico da far cadere lo stadio nonostante la “banalità” del testo. All Out Of Luck continua quanto fatto dalla precendente traccia con il suo hard rock sanguigno che sfocia nel più classico dei ritornelli da cantare e ricantare in continuazione. Un lavoro ancora una volta magistrale da parte del duo Aldrich/Beach che macinano riff come se niente fosse per un inizio di disco davvero elettrizzante. Love Will Set You Free è il primo singolo scelto dalla band e abbiamo avuto modo di ascoltarlo abbastanza prima dell’uscita del disco. Niente di trascendentale, una buona rock song dal sound più commerciale rispetto alle prime due tracce, che comincia a mettere in mostra tutti i segni del tempo di cui sembra risentire ora più che mai la voce di David Coverdale. Ad Easier Said Than Done il compito di rallentare i ritmi e ammaliare l’ascoltatore con una ripresa sfumata delle sonorità alla “Is This Love”: quindi via a quelle atmosfere patinate e soffuse in stile anni 80 (o se preferite, “1987”) e inchino di rispetto per Coverdale che, nei lenti come questo, dà il meglio di se con la sua voce straordinariamente espressiva ed emotiva. Ma sembra soltanto un attimo: è il turno di Tell Me How con i suoi riff tritaossa e un ritornello anthemico così trascinante da renderla sicuramente una delle migliori canzoni di tutto il disco. Immancabili i “babe, babeee”, anche se forse un po’ troppo tirati, del buon Coverdale dopo un incredibile assolo da parte di Aldrich. Ancora gigantesca la prestazione dei due chitarristi, veri protagonisti indiscussi di questo Forevermore. I Need You (Shine A Light) sorprende invece per la sua spiccata melodia quasi divertente, con tanto di coretti, falsetto e un assolo semplice e radiofonico. La successiva One Of These Days risulta una piacevolissima canzone elettro-acustica, anch’essa molto radiofonica e possibile secondo singolo. Sofferta la voce calda di Coverdale da uomo “vissuto” che si intona perfettamente con l’atmosfera da “autostrada americana” della canzone che precede un vero e proprio turbine altamente esplosivo formato da Love And Treat Me Right e Dogs In The Street, che hanno il compito di scuotere ancora di più l’ascoltatore: la band torna a picchiare duro e la premiata ditta Aldrich/Beach continua a sfornare riff a raffica martellando con una potenza devastante. La prima è un uptempo hard/blues che richiama molto i vecchi classici della band e che vede nel ritornello il suo vero punto di forza, mentre la seconda è una sorta di “Bad Boys” del nuovo millennio. Tanti sono i riferimenti a partire innanzitutto dal riff dall’impatto roccioso, la ritmica devastante, e un Coverdale aggressivo più che mai. Difficilmente ne uscirete annoiati dall’ascolto di queste due autentiche mazzate sui denti. Giusto in tempo per tornare a rilassarsi con Fare Thee Well, un altra perla elettro-acustica con un magistrale Coverdale che, come ho già accennato in precedenza, sfodera una prestazione eccellente con il suo classico timbro caldo e ruvido da far accapponare la pelle. Siamo a quasi alla fine del disco e ancora non si riesce a trovare un punto veramente debole da dimenticare. Whipping Boy Blues alza ancora il ritmo: sto parlando di Hard rock sanguigno, distorsione a palla e chitarre esplosive ad accompagnare le tessiture vocali alte del singer inglese. Rimembranze blues profondamente marcate nella grintosa My Evil Ways, che ricordano i tempi della collaborazione tra Coverdale e Jimmy Page dei Led Zeppelin (album Coverdale/Page del 1993) in particolar modo la canzone “Feeling Hot”. Incredibile il duello chitarristico tra Doug Aldrich e Reb Beach che si superano veramente in questa canzone con assoli al fulmicotone da togliere il fiato. Alla titletrack Forevermore il compito di chiudere questo album: un capolavoro in tutto e per tutto capace di togliere il fiato per la bellezza della musica e dell’arrangiamento. Epica e trascinante, comincia e si sviluppa inizialmente con delle chitarre acustiche per poi lasciar spazio alla prorompenza delle chitarre elettriche fino alla parte strumentale da panico intorno a metà canzone. Un pezzo che riascolterete sicuramente tante volte e che è destinato a diventare un classico nel repertorio della band. Praticamente la Stairway To Heaven dei Whitesnake.

IN CONCLUSIONE

Un disco assolutamente stellare, non ci sono altre spiegazioni. Come scritto in premessa, la band dopo Good To Be Bad poteva benissimo adagiarsi sugli allori incidendo un disco semplicemente di mestiere, ma per fortuna ha deciso di regalarci uno dei migliori dischi hard rock degli ultimi anni. Il merito principale si deve però attribuire maggiormente ai due IMMENSI chitarristi quali sono Doug Aldrich e Reb Beach. I due ormai hanno un’affinità paurosa dopo quasi 10 anni insieme nel “Serpente Bianco” e questo Forevermore ne è la prova lampante: innumerevoli riff dalla potenza inaudita rendono l’album un autentico muro sonoro ben più di Good To Be Bad, con canzoni che ne acquistano sicuramente in impatto ed efficacia infarcite da intrecci solistici che lasciano a bocca aperta. Buona la prova dei nuovi arrivati Michael Devin e Briian Tichy che fanno il loro solido lavoro ritmico senza però brillare particolarmente; nel caso del bassista appena arrivato c’è da considerare una produzione che purtroppo, nonostante sia leggermente migliore di quella ipercompressa di Good To Be Bad, nasconde un po’ troppo i suoni del basso tenendo in eccessiva evidenza le due chitarre. Per quanto riguarda mister David Coverdale, c’è da dire che per un signore di quasi 60 anni, urlare e cantare ancora in quel modo è veramente da ammirare, e sembra aver superato i problemi vocali avuti lo scorso anno che lo constrinsero ad una operazione d’urgenza. Nonostante tutto, Coverdale non si risparmia sicuramente in questo Forevermore proponendo linee vocali impegnative regalandosi anche qualche acuto qua e là. Se tutto questo è sicuramente da ammirare, nel giudizio complessivo è comunque da sottolineare che la vecchiaia sta intaccando sempre più la sua voce soprattutto in quelle parti medio alte dove il singer arriva a fatica spesso con risultati discutibili. Discorso opposto per le ballad o per i lenti acustici che diventano delle vere e proprie perle musicali grazie alla timbrica meravigliosa del singer britannico nei registri bassi, maturata in positivo nel corso degli anni.
Forevermore è un album da ascoltare e riascoltare, non un capolavoro a causa di alcuni piccoli difetti (produzione, parti vocali “esagerate” per Coverdale, lyrics a volte troppo scontate) ma sicuramente andrà ad occupare un posto di riguardo tra i migliori album della band inglese. Sarà difficile quest’anno in ambito hard ‘n heavy fare di meglio.

 

© 2011 – 2022, Andrea Vizzari. All rights reserved.

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